Vi presento il mio ultimo libro:
BAUDLERIANO
martedì 18 gennaio 2022
giovedì 11 novembre 2021
Elena Bartone: "Versi antichi per un nuovo francescanesimo"
Elena Bartone, calabrese d’origine, da tanti anni trasferitasi in Piemonte, dove insegna Lettere alla scuola media di Bra, è presente da diversi lustri nel campo della letteratura, soprattutto (ma non solo) come poetessa. Si è riconosciuta dapprima nell’ermetismo, al pari di tanti poeti d’ispirazione religiosa, come lo stesso David Maria Turoldo, nella lettura critica che ne ha fatto Andrea Zanzotto. La ragione per cui diversi poeti religiosi sono partiti dall’ermetismo risiede, probabilmente, nel fatto che, specialmente in Ungaretti, la poesia ermetica è incentrata sul «mistero»: «M’illumino / d’immenso». Ma, come ha giustamente osservato Cesare Pavese in un suo scritto sulle Due poetiche (quella ermetica, per l’appunto, e quella neorealista, alla quale lo scrittore langarolo aderisce, seppur con una propria originalità), il poeta ermetico si ferma a questo «mistero», si bea di esso e del proprio «stupore» di fronte ad esso, e non va oltre. E’ chiaro che poeti come David Maria Turoldo che vogliono superare questa “soglia”, addentrarsi nel labirinto dell’ «io» e del mondo, per «ridurlo a chiarezza» (per usare un’altra espressione pavesiana), sono destinati a rimanere insoddisfatti dell’ermetismo e ad approdare ad altri lidi.
Lo
stesso è successo ad Elena Bartone, che è approdata con gli anni a forme di
spiritualità più consapevole, animata dall’ansia di conoscere la propria
interiorità e l’universo in tutte le sue componenti: umane, animali, vegetali.
Così si spiega il suo «francescanesimo» attuale, che ha trovato sinora
concretizzazione in tre raccolte: Francesco,
nel silenzio (LietoColle, Faloppio, 2015); Apostrofi di gioie sovrumane (La Vita Felice, Milano, 2020); Con gli occhi di un povero. Poesie su san
Francesco di Assisi (Messaggero di Sant’Antonio Editrice, Padova, 2021). Il
cammino della poetessa è ancora incompiuto e i prossimi anni ci diranno quali
saranno gli ulteriori sviluppi in termini di poetica e di estetica, ma anche di
formazione umana.
Questo
«francescanesimo» della Bartone, intanto, va studiato a fondo, perché ha dei
tratti originali non solo sul piano strettamente poetico, ma anche, diremmo,
speculativo, rappresentando uno sviluppo e un approfondimento del pensiero e
dell’opera di san Francesco, che possono essere (e sono stati) interpretati in
vari modi nel tempo, sotto l’influenza anche del contesto, anzi dei «contesti»
(storico-politico, economico-sociale, ideologico, culturale, letterario),
nell’ambito dei quali ogni opera viene concepita. Un percorso, quello della
Bartone, che, lo ripetiamo, è originale, ma non solitario, in quanto il cammino
della poetessa s’intreccia con quello della Chiesa attuale, sotto la guida
e l’impulso di papa Bergoglio, che ha
scoperto, per l’appunto, nuovi significati e nuove dimensioni nell’ambito del «francescanesimo»,
legati al momento storico attuale, al quale pure egli ha voluto richiamarsi sin
dalla scelta del proprio nome di pontefice.
L’opera
di san Francesco d’Assisi, che trova degna concretizzazione nel Cantico delle creature (1225),
paradossalmente va incontro, nel tempo in cui i suoi versi furono concepiti, come
ha opportunamente evidenziato Giuliano Procacci (Storia degli italiani), alla sensibilità della nuova classe borghese
che inizia ad affermarsi e che trova utile identificarsi con una religiosità
che, riconoscendo il Creatore nelle cose da lui create (il Sole, la Luna,
l’universo nella sua interezza), non richiede nessuno sforzo speculativo,
presenta elementi di “praticità” e di semplificazione, ponendosi, inoltre, in
linea di continuità con il paganesimo dei secoli precedenti.
La
religiosità di Francesco d’Assisi è, d’altra parte, diversa rispetto a quella
che è maturata, nell’Alto Medioevo, nei conventi, nelle abazie, e che è
sfociata poi nel tomismo, vale a dire nel tentativo di dimostrare la fede per
via razionale, e, per altri aspetti, si distingue da quella di Jacopone da
Todi, dei movimenti ereticali, che non è fondata sul carattere gioioso della
vita, bensì sull’individuazione della sua dimensione tragica, sulla denuncia
della corruzione che investe pure la Chiesa e che impone un ritorno alla
purezza primigenia, che non può avvenire, però, in maniera indolore.
Ma
l’opera di san Francesco, nella sua “prismaticità”, che si accompagna alla
semplicità, è ancora altro. Ha una sua componente “rivoluzionaria”. Nella
rappresentazione che ne danno Dario Fo e Roberto Roversi, Francesco non si
limita a far voto di umiltà e di povertà, ma vuole comunicare questo suo
modello di vita anche agli altri, affinché ne facciano tesoro. Perciò
improvvisa uno spogliarello in una piazza di mercato, per richiamare
l’attenzione di un popolo distratto, che, intento agli affari, non ascolta
neanche la sua parola e il suo messaggio.
Da
tutta questa “poliedricità” si possono trarre significati diversi, persino di
segno opposto. Papa Bergoglio, sin dall’inizio del suo pontificato, ha offerto
un’interpretazione di san Francesco che, se non è “rivoluzionaria”, è senz’altro
innovativa, presentandoci il «santo poverello» sì intento alla contemplazione
del creato e delle sue bellezze, ma non rinchiuso, per questo, nello spirito
contemplativo, né meramente speculativo, bensì proiettato, con la ricchezza
spirituale accumulata attraverso la contemplazione, il silenzio,
l’introspezione, verso il mondo esterno, verso gli uomini, per trasmettere ad
essi la lezione di vita da lui stesso appresa per mezzo dell’osservazione e della
meditazione. Così papa Francesco è stato particolarmente attento alle tematiche
ecologiche e, in generale, all’ “esserci nel mondo” di ogni individuo e della
collettività umana, alla dimensione etica che deve caratterizzare l’agire del
singolo e della comunità, perché «nessuno si salva da solo», in un momento
storico nel quale la razza umana rischia l’estinzione, a causa della sua azione
distruttiva protratta nei millenni. Tanti insegnamenti possono venire dalle
parole di papa Francesco a tutti noi, credenti e non credenti, ed è stato
proprio lui a superare questa distinzione, rivolgendosi a tutti gli uomini di
buona volontà, cancellando steccati ideologici e pregiudizi anch’essi
prolungati nei secoli.
Elena
Bartone ha fatto tesoro, nella sua vita e nella sua opera, di questi
insegnamenti e di questa interpretazione originale del messaggio di san
Francesco. Nelle poesie della sua «trilogia» parte dal creato, dai suoi monti
calabresi, da luoghi simbolo come il Sacro Monte di Orta, la chiesa dei Battuti
Neri, la chiesetta delle Clarisse, a Bra, che corrispondono al monte Ventoso
del Petrarca, il quale racconta in una delle sue Familiares, di aver scalato questa altura della Valchiusa, in
Provenza, assieme al fratello Gherardo, per scavare nella propria interiorità,
alla ricerca di se stesso, ma anche della via che, attraverso la
chiarificazione interiore, porta a Dio. Leggiamo nella poesia Sui monti calabri, appartenente alla
raccolta Francesco, nel silenzio: «Sui
monti calabri / era calato il silenzio. / La sera si annunciava tra gli abeti.
// Cercavo una risposta ai miei perché, / alle voci che un tempo / arrivavano
da lontano. // Non rincorrevo l’altrove, ma la vita / nei suoi rivoli di enigmi
e sobbalzi / di felicità. // Rimescolavo le carte dei giorni, / ma i conti non
tornavano. / Tanto silenzio e nulla più. // In quel silenzio tutto verde / ho
sentito il futuro / camminare al mio fianco». E, inoltre, nella poesia Bra, chiesa dei Battuti Neri: «Da qui ho
sempre innalzato / preghiere al Signore, / da qui l’anima si è spinta / fino a
baciare Dio. // Qui un tremore ha scosso le membra / perché ho sfiorato
l’Assoluto. // Qui è tutto silenzio. / Le labbra si muovono appena, / non si
odono passi. / Qui è tutto silenzio, anche sull’altare». E, ancora, nella
poesia Bra, chiesa delle Clarisse: «Nella
chiesa le candele accese / per Francesco. / Ogni candela una preghiera, / ogni
preghiera una pena. // Si prega per non impazzire, / si prega per non pensare.
// Tutto accade nel silenzio, dentro. / Fuori il trambusto, il ritmo, la corsa,
/ la follia del vivere». E, infine, nella poesia Orta,
Sacro Monte: «Tra le chiesette del Sacro Monte / esulta lo spirito di
Francesco / come al mattino una campana ubriaca / di vita. // Neanche la
pioggia fa rumore. / Ed è silenzio, meraviglioso silenzio. / Come in un film
scorre la vita del Santo / scandita tra cripte e arbusti secolari. // La natura
tace. Religioso silenzio. / Il creato s’inchina / di fronte a tanta pace, /
dentro e fuori».
C’è
il silenzio, dunque, che invita a riflettere, a cogliere il messaggio che
promana dal creato, attraverso lo scavo interiore, e questo processo di
chiarificazione proietta verso il Creatore, con la mediazione di Francesco.
Scrive, a tal proposito, Martha Canfield nella prefazione alla raccolta Francesco, nel silenzio: «Tra tutti i
santi forse San Francesco è quello che più facilmente illumina il quotidiano e
riesce ad aprire una strada che parte dalla comunione squisitamente terrena con
la natura, con gli animali, con gli esseri più umili e sprovveduti e fa
intravedere il cammino che porta più in là, sopra l’immediato e il tangibile,
verso la comunione con l’assoluto. Il raggiungimento di questa meta finale, che
nel linguaggio mistico tradizionale viene designata come “nozze mistiche”, può
essere difficile e doloroso, può implicare una profonda sofferenza fisica e
spirituale».
Ma
dopo il silenzio c’è la parola, che si concretizza nella poesia. La riflessione
silenziosa e poi la parola non proiettano la poetessa solamente verso l’alto,
verso l’ultraterreno, ma anche verso il mondo terreno. Anche in ciò le è
maestro san Francesco, che ha rivolto gli occhi non solo verso il cielo, ma
anche verso il mondo circostante, e il suo sguardo è stato quello del povero.
Da qui il titolo dell’ultimo volume della «trilogia»: Con gli occhi di un povero. San Francesco, infatti, non si è
accontentato di tessere le lodi del Creatore attraverso il creato, ha rivolto
il suo sguardo pietoso verso il mondo terreno, per constatare con dolore come
esso è stato trasfigurato, rispetto al progetto divino, dagli uomini, con la
loro azione distruttiva, che ha investito il piano materiale e quello morale.
Leggiamo nella poesia Francesco piange
per il creato: «Nel terzo millennio, / da lassù dove non arrivano / sospiri
della notte, / né stille di solitudine, / Francesco piange. / Il creato,
l’immagine di Dio, / soffre. / Gli uomini soffocano i mari. / I boschi nella
loro pena muta. / E l’aria non è più libera, / prigioniera di nascoste evanescenze.
/ Madre terra confusa, / attaccata da mani invisibili / in cerca di
distruzione. / L’erba calpestata da passi / incerti e informi. / Gli uccelli
lassù hanno perso / la direzione. / La natura non conosce festa / a primavera.
/ Le mammole non hanno voglia / di sognare. / Gli abeti si abbandonano al vento
/ stanchi. / Le allodole sfiorano i pensieri / tristi dei più soli. / Le maree
si innalzano / sulle umane sventure / e il sole fa delle nuvole / la sua casa.
/ Da lassù solo le stelle, / nel freddo silenzio, / guardano attonite».
E
qui la lezione di san Francesco si trasfonde in quella di papa Francesco, della
quale Elena Bartone fa ampiamente tesoro. Bergoglio ha ripetutamente denunciato
l’emergenza ecologica, la corruzione morale, che investe anche settori della
Chiesa, la carica distruttiva e belluina dell’uomo che dirompe nelle guerre, le
disuguaglianze sociali sempre più marcate tra ricchi e poveri. Elena Bartone fa
eco alle parole del Santo Padre, al suo messaggio, veicolo di un «nuovo francescanesimo»,
che è, nel contempo, antico. Condanna la guerra nella poesia Se la pace tace: «Nel chiostro tutto è
fermo: / la siepe che invita alla gioia, / l’alloro, la statua di Cristo. / Solo
il vento scompiglia le foglie. / Una rosa gialla mi riporta a Te, / alla nuvolaglia
della Tua santità, / al Tuo grido, se la pace tace, / se gli animi si perdono /
nel tumulto di guerre tra fratelli».
Oggi
in Italia il più lucido analista della società capitalistica matura è Franco
Ferrarotti, padre rifondatore della Sociologia italiana nell’immediato secondo
dopoguerra (il fascismo l’aveva quasi abolita: se non ci sono più problemi
sociali, perché il regime li ha risolti tutti, non ha senso la disciplina che
intende studiarli). Ultranovantenne, ci invita continuamente con i suoi scritti
a recuperare la dimensione del passato, di quando si camminava «a passo d’uomo
e di cavallo» (questo il titolo di uno dei suoi preziosi volumi, che escono a
ritmo vertiginoso, colmando un grande vuoto intellettuale e morale), il «mondo
della penuria», nei suoi aspetti e insegnamenti positivi, accanto a quelli
negativi, che imponeva la misura, la moderazione, la riflessione su come
risparmiare le energie e su come autolimitarsi. E oggi occorre, appunto,
autolimitarsi, superare, con un salto all’indietro, la «società irretita» di sviluppo
senza progresso, riscoprendo un «nuovo umanesimo», che è, nel contempo, antico
(Dalla società irretita al nuovo
umanesimo è, per l’appunto, il titolo di un recente volume di Ferrarotti),
fondato sull’umiltà, su una visione pauperistica della vita, sulla riscoperta
dell’uomo e sulla rideterminazione della tecnologia come mezzo, non come fine.
Di tutti questi valori, rilanciati da Ferrarotti, è partecipe Elena Bartone,
con il suo «nuovo francescanesimo», in linea con quello di Bergoglio. La poesia
I poveri costituisce, in tal senso,
un manifesto programmatico: «I poveri non conoscono cattiveria, / amano il
vento e le pietre, / innalzano una preghiera al Signore / nella sera. / Un
tremolio di sofferenza / percorre le membra / e poi si abbandonano al canto /
della solitudine. / Inciampano lungo il percorso / dell’esistere, poi si
rialzano / perché Dio cammina accanto. / Non amano la perfezione, le certezze;
/ ascoltano il linguaggio muto / delle cose. / Oggi come ieri, / si stringono
al cordone / della povertà / e ascoltano la voce di rintocchi / d’altrove. / Piangono
se le logiche del mondo / sferzano colpi / alla loro essenza / di aurore
rarefatte / o se la vita sanguina / nostalgie d’altri giorni. / Il volo di una
farfalla / una carezza di Francesco / nei mattini trionfanti di solarità».
Quella
della Bartone potrebbe sembrare una visione conservatrice, retrograda, ma non
lo è: Gramsci ci ha insegnato che il passato è fonte di ogni rivelazione e di
ogni rivoluzione. E’ necessario, allora, cancellare l’egoismo, l’edonismo, il
culto della ricchezza e della proprietà individuale e familiare (o di casta),
fine a se stessa, consentire una vita più dignitosa a tutti, il minimo
indispensabile per vivere, riacquistare il senso della misura, della
moderazione, dell’autolimitazione, il rispetto per i propri simili e per l’ambiente,
nelle sue varie componenti (umane, animali, vegetali), la dimensione preziosa della
riflessione pacata e della lentezza, nel pensare e nell’agire, contro la corsa
forsennata verso non si sa che cosa. Sono questi i caratteri del «nuovo
umanesimo», di cui parla Franco Ferrarotti, e del «nuovo francescanesimo» di
papa Bergoglio, che trova concretizzazione nell’opera poetica di Elena Bartone,
che guarda indietro al passato per andare avanti, nel presente e nel futuro.
Carmine
Chiodo, nella sua Prefazione ad Apostrofi di gioie sovrumane, con la
consueta acutezza ed acribia filologica,
ha giustamente evidenziato anche le caratteristiche stilistiche e
linguistiche di queste poesie di Elena Bartone, sottolineando la capacità
dell’autrice di usare ritmi diversi e forme estetiche sempre rinnovate per
rappresentare gli stessi momenti spirituali, naturali e umani. Egli conclude, e
noi con lui: «Ciò che ancora colpisce dell’originale poesia della nostra
poetessa è la variabilità ritmica che dice sempre la natura, lo stato dell’io
poetante, che alimenta una poesia per accompagnare poi i vari istanti
dell’essere dell’autrice e la sua presenza nella realtà, nelle cose. Poesia di
alto sentire e delicatezza linguistica eccezionale».
domenica 10 ottobre 2021
Intervista di Telegranda alla poetessa Elena Bartone.
sabato 9 ottobre 2021
Con gli occhi di un povero.
venerdì 8 ottobre 2021
Con gli occhi di un povero
sabato 10 ottobre 2020
Apostrofi di gioie sovrumane
Al lettore
Ti offro questi pezzi di vita, avventure mistiche e terrene, singulti d’altri mondi, profumi esistenziali lungo apostrofi di silenzio.
Che tu possa ritrovare, in queste pagine, i tuoi giorni luminosi e quelli screziati di malinconici accenti. Come in uno specchio, osservare i sussulti della mente, le fitte al cuore, i sospiri nei meriggi estivi.
Che le mie litanie dell’esistere siano anche tue, come i lillà aulenti sul palcoscenico della vita.
Le effervescenze sentimentali possano conquistare gli angoli più nascosti del tuo essere alla ricerca di solstizi d’emozioni.
Questo ti lascio: la mia fede e la preghiera, vero canto a Dio.
Elena Bartone
Trovo delicato e parecchio suggestivo e persuasivo il modo con cui la poetessa esprime le sue sensazioni, il sentimento di attaccamento alla vita vissuta nelle varie manifestazioni e atmosfere. Una poesia intima e personale e ciò non è poco; la Bartone scrive per far conoscere il suo animo, il suo modo di guardare e di esprimere le diverse situazioni della vita. Ciò che ancora colpisce dell’originale poesia della nostra poetessa è la variabilità ritmica che dice sempre la natura, lo stato dell’io poetante, che alimenta una poesia per accompagnare poi i vari istanti dell’essere dell’autrice e la sua presenza nella realtà, nelle cose. Poesia di alto sentire e delicatezza linguistica eccezionale.
dalla prefazione di Carmine Chiodo
M’invento parole nuove
M’invento parole nuove
per cantare paradigmi di luce,
apoteosi di pensieri vaganti,
catartiche verità sospese tra cielo e terra.
Le sillabe pulsano,
smarriscono le coordinate,
battono sul fuoco della poesia.
E così torna l’essere smanioso
di alture primordiali,
brandelli di similitudini esistenziali.
M’invento parole nuove
per adagiare le membra sul letto dell’indicibile,
della non forma del lievito celeste.
titolo | Apostrofi di gioie sovrumane |
sottotitolo | poesie |
autore | Elena Bartone |
editore | La Vita Felice |
formato | Libro |
genere | Poesia Agape |
collana | Agape, 203 |
pagine | 108 |
pubblicazione | 07/2020 |
mercoledì 22 maggio 2019
Quando le ombre cantano il sole
"Possono davvero le ombre cantare il sole? Sembra una provocazione, forse un grido, l'opera poetica di Elena Bartone. Una provocazione che si fa grido e che riesce a contestare una certa immagine del divino, scolpita dentro, nel cuore delle umane generazioni. Una provocazione a ripensare e a mettere in discussione quell'immagine dicotomica della realtà che vuole collocare, in una fatalistica divisione, luce e tenebre, cielo e terra, materia e spirito, Dio e uomo. In tal modo la ricerca innata dell'oltre, il sussulto umano dell'anima verso la trascendenza, lì, tutto, si esaurirebbe: in un illusorio sussulto, in un inutile anelito all'esodo, sempre destinato a rientrare deluso nell'orizzonte finito dell'ombra".
Don Giorgio Garrone
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