Arcobaleni lunari





ASPETTAMI

Aspettami, oltrepasserò
la linea dell’incerto
e arriverò da te,
là dove le Galassie
sfavillano d’assoluto.
Apri quella porta
che conduce verso mondi
d’estasi divina,
beatitudini che si snodano
tra spume di tintinnii di silenzi
e cosmiche chiaroveggenze.
Insieme scopriremo il miracolo
la luce che giardini disvela
d’assolate ninfee,
girasoli di mattutina
iridescenza,
foglie che come calici
si protendono al cielo.
Sulle nostre anime
scenderà ogni benedizione.
La sete di divino
scioglierà nell’oblio
i vissuti vertiginosi,
i santuari della solitudine,
gli aneliti verso gioie
sconosciute al cammino terreno.


SIMMETRIE DI PRESAGI


Nei tuoi pensieri c’erano voli
di falchi impazziti
nella luce del meriggio.
Simmetrie di presagi riempivano
le ampolle dell’anima
in cerca di singulti
pervasi di nostalgie esistenziali
e unguenti di beatitudini.
Alitavano scaglie
di carezze lontane
e dal tempo saliva
sussurro di voci
che spezzava il silenzio
ammutolito, asfittico, ansimante.
L’attimo rubava alla vita
respiro di nuvole
e il trapasso appariva vicino,
ineludibile sorte.
Lucentezze di bucaneve
si allineavano tra le crepe
di perdute malinconie
e altezze lunari dialogavano
con il tuo io liquefatto
in schiuma d’eucalipto e acacia.
Soccorrevano stridi d’altrove
alle parole stanche
di momenti ritmati d’inverno,
algebriche figure
tinte di noia
e screpolati ricordi.
Il soggiorno terrestre cantava la fine
e tu gettavi l’amo al Signore
verso mete d’infinita dolcezza.
 
SUI CUSCINI DELL’IMMENSO
 
Mi mancano i tuoi passi leggeri
sull’asfalto della vita,
le parole che odoravano
di mimosa nello sfavillio
del mattino,
le vertigini di pensieri
che s’inebriavano di brezza marina.
E ora che tutto è passato
colgo i segni della tua presenza
nel luccichio di una lampara
solinga, silente, serafica,
ingorda di placidi notturni,
nella cima di un abete
proteso all’infinito,
nello scalpitio di una fiamma
nelle sere d’inverno.
E ora che i ricordi danzano
attorno all’ortocentro del mio essere,
sbadigliano dell’anima i richiami,
si fanno volo di libellula
nel cammino verso il sole.
Riconduco i contorni del tuo viso
ad antichi alabastri
in bilico tra geometriche
aperture alari
e fosforescenti segmenti spirituali.
Qui rivive la nostalgia
delle tue pupille blu
tra gli interstizi del creato
e il lento procedere dei giorni.
Sei carezza che si adagia
sui cuscini dell’immenso.
 
QUIETE CELESTE
 
Vorrei raggiungerti
nel profondo della quiete celeste
dove figure angeliche
disperdono nel nulla
vetuste verità di vita
vissuta tra i declivi
di profumate
sonorità terrene
e sotto palmizi
assolati di speranze.
Perdersi nell’illusione
di amuleti roboanti d’immenso
e placide sfere che ruotano
attorno all’Assoluto,
favolose bellezze
di universale sostanza
e ascensionali percorsi
di materiale essenza.
Provo a spiccare il volo
ma è vana vanità,
il mio posto è qui,
nell’incertezza del vivere,
nel non essere di pause
incandescenti,
sfiorate da vitale fede,
similitudini di mistero.
Il mio transito percorre linee
dove soli autunnali
attendono il calar delle tenebre
nella stanza muta.
 
HO CAMMINATO SUI DECLIVI DELL’ANIMA

 Ho camminato
sui declivi dell’anima
e ti ho incontrato,
infallibile meteora
che si dimena tra gli interstizi
dell’immenso.
Sinfonie autunnali,
aritmie di lucentezze
accarezzano il ricordo
delle azzurre pupille
che inventano
teoremi di terrene fantasie,
vivacezze di giochi esistenziali.
Ti doni alla memoria,
a momenti che trapuntano
gli anfratti della mente,
a salgemma che inquieta
il palpito del vivere.
Sei amara dolcezza
che cammina sulle soglie
di un vissuto che si trascina
in un mistico sogno.
Favola lontana,
catartica fontana,
rinfreschi i pensieri
che come allodole cantano note
d’infinita e gioconda purezza.
 
NEL TUO RICORDO MI RIPOSO
 
Nel tuo ricordo mi riposo,
depongo le armi
della quotidiana battaglia
e innalzo un inno al silenzio.
Si attutiscono i rumori del dolore,
tendono a svanire,
si calmano, poi tacciono.
Ricami d’anima si tramutano
in sibili di finito immenso.
Foglie colorate d’autunno
inventano sonagliere di suoni
al tuo vagare tra flutti
di costellazioni
di divino ansiose
e inaccessibili soglie d’Assoluto.
Mi rifugio nel chiaro
delle tue pupille
che odorano di luce e ambra,
vezzose di salsedine di altri mondi,
corpuscoli infinitesimali,
richiami d’anima,
degustazioni d’infinito.
Mio e tuo tripudio il cielo,
incandescenza di enigmatica
vaporosità d’Assoluto,
alterne emissioni
di funamboliche verità
di calici di mesta gioia
lunare e metafisica.
Nel tuo ricordo mi riposo.

L’ASSENZA

Più di una volta ti ho cercato
sulle labbra mute dei passanti,
nel luccichio dell’asfalto bagnato
dopo il temporale,
nel profumo di resina
quando gli alberi
fissano gli occhi della luna.
Eppure non c’eri,
non un silenzioso rumore,
un alito, un esile suono.
Sovrastavi il creato dall’alto,
ed io lo avvertivo
con la forza febbricitante
della fantasia.
Ti chiedevo un segno dall’aldilà
e tu mi ispiravi parole
dimentichi di terreno,
profumate di fieno,
nostalgiche piroette
di azzurrità planetarie,
rosee albe settembrine,
liquami di escrescenze
armoniose  di evanescenze.
Fulminei danzavano i pensieri
quando il ricordo di te si confondeva
con ibride presenze paradisiache
e tumultuose istanze di divino.
Pulsavano le ombre
al calar della sera
e tu rivivevi
su una pagina bianca.
 
LA LEGGEREZZA
 
La leggerezza delle tue parole
aleggiava sul mio spirito
staticamente ramingo,
in cerca di emozioni nuove,
odoranti di gialla mimosa,
di mattutina freschezza.
Si declinavano i minuti,
si arrotava il tempo su sé stesso,
mentre pensosa accigliavo la fronte
in cerca di un segno, un sibilo,
un singulto.
Si ammucchiavano i ricordi,
si stringevano nella morsa
del passato scomponendosi
in sillabe profumate
di schegge di tramonto.
Le mie ferite erano
malcelate, melmose,
intrise di notturna malinconia
ed estasi spasmodica.
Ruotavo il capo
come per cercarti
ma il vuoto riempiva
la stanza muta.
Non ti vedevo
 la tua poesia parlava quaggiù,
ma tu eri piussù,
sempre piussù.
 
CHANSON
 
La fredda mitezza del clima
inorgoglisce i girasoli
e nell’anima scendono
cristalli di messaggi primaverili
ricoperti di un brivido d’azzurro
e ritmi di zagare in festa.
I ricordi dell’inverno evaporano
tra gli equilibri delle sintesi
mentre voci di Langa si perdono
col defluire del giorno
loquace, luminoso, limpido
di anemoni in fuga verso Est.
E i pensieri si fanno nuvola
vagante, vagabonda,
in cerca di circonferenze
di luce riflesse
ed epifanie che preannunciano
arcobaleni trascendentali,
semenze di mondi altri e lontanissimi.
Di ciclamini un effluvio
mi riporta alla tua essenza
che vagola tra le spire
dell’immenso e rinasce
tra enigmatici sentieri
di costellazioni,
quando l’alito della chanson
giunge fino a te e t’incorona
marinaio dei cieli
e delle cose senza tempo.

ELEGIA
 
Fu l’ultima Pasqua,
l’ultima volta
che le campane della Resurrezione
penetrarono il tuo cuore
stanco, indifeso, proteso
verso la luce dell’immensità.
Viveva la città,
brulicava, smaniava
di ritmi assurdi, veloci,
rincorreva il vento di maestrale
tra gli oleandri in fiore,
ghirlande di pensieri
che s’inerpicavano su minareti
smaniosi di sole.
Il tuo passo era lento,
si trascinava tra i segmenti
del giorno aspettando che un’alba chiara
regalasse primule loquaci,
desiderose di sinergia vitale,
coreografie di antiche danze
gitane.
E invece l’alba interruppe
il sogno, le vezzose carezze,
i proclami inattesi,
le reminiscenze di ambra e gelsomino.
Ansimanti presentimenti
di vita nuova, eterea,
energia pura danzante nell’azzurro,
inflorescenze d’essere,
virgulto d’infinito,
si stagliarono tra cielo e orizzonte,
novello ponte
verso pellegrinaggi d’anima,
illuminati da sistri d’aprile.
E il pianto come sospiro lieve,
aritmico, asfittico,
dolcezza di subitanei
trasalimenti,
armonia di alito primaverile.
La tua essenza si fece preghiera,
canto che sibila
tra flutti fluenti e fantastici
dell’ignoto e del metafisico.
 
SU FILI D’ORO

Vorrei cantarti su fili d’oro,
su una tastiera
profumata d’immenso,
per non scordare la tua voce
che si levava quieta
verso alture di maestosi equilibri,
encomiabili luminosità d’anima.
Le parole si rincorrono,
annunciano il tuo nome,
le epifanie che scatenano l’attimo,
lo esaltano, lo riportano
lungo rivoli
di solenne, salmastra solarità.
I ricordi mordono la mente,
strisciano sull’asfalto della solitudine,
accarezzano teoremi
di bellezza paradisiaca,
inafferrabile realtà
ultraterrena.
Si sbriciolano le sillabe,
si distendono, si posano
sulla pagina bagnata di pianto,
 presenze perdute,
 attutite forme di pensiero
che s’innalzano verso l’altrove.
La città si fa triste, umile la parola
che riecheggia sperduti
ritmi di poesia medievale,
antiche anafore
che inseguono l’azzurro
delle tue pupille
che ormai fluttuano
nell’amara dolcezza dei cieli.
 
TI CERCO

Ti cerco su pianeti di pensieri,
tra le trigonometrie del vivere,
tra miraggi raccolti
in gerle dorate,
nelle penombre che disseminano
mirti imbevuti della canicola
d’agosto quando
inflorescenze di ricordi ululano
nelle aiuole dell’anima.
La parola si riempie di te,
di favole nascoste
sotto ritmi di poesia,
unguento mio e tuo
alle dolci piaghe dell’esistere.
Misteriosa la tua presenza
su lidi liguri, spiagge
che attendono che l’essenza
si disveli tra scogli
ingordi di sole.
Ti cerco su filamenti
di salsedine che rincorrono
l’attimo impreziosito
di leggerezza d’ambrosia
o tra rivoli di quotidiana
inquietudine che si staglia
alle sorgenti dell’anima
quando un grido muto
raggiunge l’altrove lontano.
Mi immergo nella tua sostanza gloriosa
che fluttua nel grande
magma delle cose
vaghe e vaganti.

 
TRAIETTORIE ESISTENZIALI

 ARCOBALENI LUNARI

Arcobaleni lunari
per dimenticare la città,
la vita che sta fuori
da iperboli di idee,
sensazioni vaganti
tra gli anfratti del nulla.
E il gioco si fa colore,
profumo di epoche
recentemente remote,
filigrane di ventagli
di emozioni che evaporano
tra sussulti  odorosi
di girasoli lontani,
tensioni di pensieri
che si tingono di giallo,
ricordi che s’inerpicano
sulle cime di salici
dimentichi di neve.
E il momento si fa poesia
che corre lungo  rivoli dell’anima,
rincorre la parola nascosta
sotto liquami di iridescenze
di cromie, tra segmenti
di sperdute aureole
di visioni angeliche.
Il battito del mondo
si fa chiara opalescenza,
pulviscolo di sogno
che accarezza l’infinito:
si sta tra cielo e terra,
ed è trionfo,
di bellezze mistiche e lunari.
 
HAI CUORE FILIGRANATO

Hai cuore filigranato di sassi,
a cuspide, ruvidi,
nel freddo dei tuoi giorni.
Sei un singulto di terra gelida,
arata di malinconia,
coltivata a cristalli di ghiaccio
quando le stelle salutano
lo zenit e inorgogliscono
di ombre notturne.
La tua atarassia vermiglia,
sanguigna, terrena si solleva
alla foce del mio essere
naufrago, errabondo,
sospinto alla foce dei tuoi sguardi,
deluso dalle tue scabre parole
indurite dal gioco delle sorti.
Si avviluppano dei nostri incontri
i segmenti,
formano intrico brullo
bruciato dalla fredda canicola
del tuo vivere.
Il domani si fa pianura calma,
fuliggine di speranze
che conducono all’oblio.
Dimenticare è  principio primo
dei giorni che verranno,
lontani dall’indifferenza
della tua anima che si riscatta
al pungolo della solitudine
inseguendo voli di falchi
che si perdono
nell’etere alto e irraggiungibile.
L’INVINCIBILE ENIGMA

Dorata sofferenza,
oggi ti sento spessa
(una scure potrebbe spezzarti),
così ruggente, ruvida, rossastra
e sorda alle mie ragioni.
Sei dentro di me
e tutta mi avviluppi,
mordi e semini languori
tra i flutti dell’esistere.
La voce si fa flebile, amara l’essenza,
mugolo che soffia nell’aria ferma,
sinfonie di note sussurrate
tra gli interstizi
dell’umana ventura.
Ed io vivo dentro un intrico
di sillabe amare,
lamenti sanguigni
che inseguono parvenze d’oblio
e ritmi di distese pianure.
La voglia di vivere
è nuvola sbiadita che si perde
tra le vibrazioni del pensiero.
Ultrasuoni di mistiche ascesi
rincorro tra gli alveari
della solitudine
e tra lo scorrere calmo
e inferocito dell’attimo.
Si dilegua la certezza del domani,
la vita scorre lenta, amara l’esistenza
lungo i binari
dell’invincibile enigma.

SEI LA COLLINA ( A Pavese)

Sei la collina
che al meriggio si veste
di opalescenze indefinite
e richiami d’anima
nel vigorio dell’attimo.

Sei zolla di vigna verde
che s’inebria d’azzurro
nell’edulcorare del mattino,
quando i pensieri volano
tra gli interstizi che si perdono
alla foce dell’Iperuranio.

Sei ricamo che si ammira
tra i rami di pesco
e si accartoccia
tra i tremori del tramonto.

Sei cielo terso di Langa,
silente, irraggiungibile,
che ascolta i languori di quaggiù,
di noi finiti, mortali,
che obliamo il passato
e tendiamo mani incerte alla vita,
che pulsa di schegge di futuro,
eventi enigmatici
e incomprensibili.

Sei palpito sommerso
di pietra di Langa
levigata, prosciugata,
arsa dal tempo,
rincorsa dal mio grido di dolore
che s’inerpica alle radici
del tuo essere muto e solo.
 
LA VITA SOLO UNA VOLTA E MAI PIU’

Si vive dimentichi
dell’attimo che fugge,
soldati che attendono
la tregua, un segno
per deporre le armi
e urlare la vittoria,
la fine dei giochi,
delle scommesse, del rischio,
della risata amara
quando a sera il calcolo non torna.
Si vive storditi
dal tonfo degli eventi,
inaspettati, ineludibili,
dal danzare di sorti
che colloquiano col vento.
Si sta come foglie accartocciate
che spandono fragranze
autunnali nei dintorni
di solitudini terrene,
titubanti, tenebrose
e rimpiangono riverberi
di primaverili solstizi.
Si inanellano gli accadimenti,
s’innalzano le maree,
trionfano i singulti delle ore
e intanto la mente si appresta
al dolce ristoro
del sonno invisibile,
agognato, racchiuso
nella brevità di un attimo.

 
SI STA COME ANGELI


Solitario vive il sogno
tra le quattro mura
dell’anima stanca.
Il sole non vede, non ode il vento,
su sé stesso si accartoccia,
chiede pace,  ma nulla più accade.
Si ricompongono i pezzi del ricordo,
luccichio il tuo viso ombroso,
esfoliato da stridi di rondini.
Salsedine di liquefatte
aritmie sentimentali,
turbinii di lampare dimenticate
avvolgono i pensieri
che sfiorano fondali
di ancestralità luminose
e ripercorrono giorni appassiti
sotto l’astro delle tua viva essenza.
Tu vivi per te,
schivi il mio sogno
che vorrebbe gridare,
ma è muto, incompreso,
strada abbandonata
dove non s’ode rumore di passi.
Si sta come angeli
ai piedi della croce.
 
CERTE SERE

 Certe sere
il nulla m’invade,
prende le ossa, la pelle,
e mi addormenta su cuscini
di rami secchi.
E svanisce il passato,
i momenti vissuti
a captare il segreto del vivere.
Un lontano rimbombo
diventano i pensieri
che si ammantano di tedio,
di aromi che plaudono al silenzio.
La parola si fa morbida roccia,
pietra levigata,
arsa da mille canicole.
E l’attimo si fa macigno,
sasso sepolcrale,
sensazione di inutile
percorso terreno.
Ma un tremore percorre
l’anima stanca,
la trascende, la trastulla,
la riporta in un placido porto
e l’inebria di luce mattutina
quando allodole
innalzano inni all’infinito.
E il domani diventa
un vagare tra arcobaleni
e ghirlande  di celeste cielo.
        
LANGA
 
Langa lunare, silente,
addormentata sotto bianche spume,
tutto tieni in corpo,
ogni sussulto accogli
nel grembo rigoglioso
e lasci che la fiammella del tempo
diventi lucciola notturna.
Taci nel ricordo
delle rosse uve
e sgomenta ascolti suoni
lontani, luminosi,
che evocano effluvi di epoche remote.
Magie invernali sussurrano
i fianchi prosperosi
mentre riposi
su languidi guanciali di tamerici.
Non ti duole il nulla- il dolore non ti sfianca,
non ascolti il pungolo di cose
vezzose e vaganti
nelle atmosfere ansanti.
Il ritmo lento della solitudine
ti abbraccia e ti culla,
ma tu resisti, incanti,
splendi di meravigliosa bellezza,
emetti  vagiti di creato,
affascini occhi innamorati
di cose senza tempo
che attendono il sole silente.

 BALLETTI RUSSI      (A Daria e Sergey)
 
Balletti russi,
per far danzare una serata
senza storia,
per far volare l’immaginazione
oltre i muri del visibile
e del certo.
Astrolabi di incensi che s’innalzano
verso segmenti dell’ignoto
per rapire alle movenze
i segreti dell’umano esistere
e le epifanie disciolte
nelle ampolle del vivere.
Emergenze di emozioni,
smerigliature di strumenti a fiato,
ideogrammi di fonti
battesimali,
si stagliano tra un passo e l’altro
alla ricerca di suoni odorosi
che attendono arcobaleni lunari.
Sincronie di simboliche
realtà ultraterrene
si effondono tra i sibili
di amare gioie e sussulti
di virtuosità dell’Est.
Balletti russi
per spiccare il volo
e volgere le spalle
alle cose quotidiane
che vivono in penombra,
lontane dal sogno.

MORMORIO DI LANGA

Mormora la Langa
fredda, fiabesca, felice,
concerti invernali
di ritmi sovrumani
e incantesimi di luce.
Svaniscono le penombre,
i rumori s’acquietano,
tace la natura,
mentre si innalzano lieti
e uggiosi i pensieri
animati di soffici
epifanie di salmastro.
Si adagia il ricordo di te
sulle vigne desiderose
di canicola, di pietre
arse dal sole,
estati torride e stridenti.
Poesia di un momento
di fine inverno
quando le emozioni
rincorrono profumi d’attimo,
attese vereconde,
emistichi sommessi.
Si fa favola il tramonto,
tremulo dietro le colline
che evaporano essenze
d’incenso e  magnolia,
elisir di beatitudini terrene
e accondiscendenze divine.
Della sera si mescolano i rumori
in un andirivieni
che preannuncia il sonno
degli umani tormenti
placidi e profondi che pungolano
i solstizi dell’anima.
 
GEOMETRIE DI VITA


Tra gli arbusti si intravvedeva
la Langa, come il tuo viso
in mezzo ai pensieri.
E si stagliavano arcobaleni,
riflessi paradisiaci,
sinfonie di paesaggi collinari.
E si spandevano profumi
che raggiungevano
le stalattiti dell’anima
o i fossati attoniti
che puntellano la mente.
Era l’alba gloriosa
di un giorno di marzo,
quando le viti aspettano
che le zolle inaridiscano
e i tralci effondano
suoni di fecondità terrestre.
Dimensioni di geometrie
di vita  vinte dal sogno,
anemoni odorosi di ricordi,
precipizi esistenziali,
paradigmatiche sostanze
di pianto mestamente gioioso,
che rincorre le pendici
dell’orizzonte,
là dove sussurra
un martin pescatore.
Sinonimi di ebbrezza primordiale
salutano il nuovo giorno accarezzato
da alito di fresca, fulgida
innocenza,
amante del mistero.
  
ALL’OMBRA DEL MOMENTO
 
Le malinconie si sciolgono
all’ombra del momento
quando il palpito del mondo
allevia la corsa
e gli oleandri dell’anima
dell’esistere accarezzano la foce.
Si stemperano all’orizzonte
tempeste di emozioni
smaniosamente placide
che evaporano come bracieri
nel mezzo di un deserto.
Nascono pensieri che fluttuano
tra i segmenti della fantasia,
creando croste di cruda
memoria esistenziale
e retaggi di musiche
che si effondono
tra gli alveoli di minuscoli
interstizi dell’essere.
Si sta come angeli in pena,
in ginocchio, aspettando
che un lume rischiari la penombra,
la prossimità alla vita,
la parvenza.
Si declama la sostanza,
la materia che deforme
attorciglia, nutre
i tentacoli che attendono
il sangue, la terra,
il finito, il perduto.
Ma è un sussurro d’infinito
che trionfa, un anelito,
un bagliore di altezze
lunari e metafisiche.

LA VITA NON  E’ QUI


La vita non è qui,
non più avanti, non più indietro,
non mormora tra i boschi
dove caprioli s’incrociano
nella corsa e civette
attendono le tenebre.
Non dimora in città
dove rumori spezzano il silenzio
delle chiese e  passi lesti
rincorrono ritmi
di energia vitale,
quotidiana, sintesi
di forze che si alleano.
E’ difficile scorgerla
tra le luci di una lampara
che invitano oltre, a dopo,
a segmenti che sfuggono
a intuizioni parallele.
Talvolta l’essenza vitale
guarda da lontano,
dirige lo sguardo più avanti,
dove le voci si abbassano,
s’acquietano, poi tacciono
e i segni matematici
più non contano.
Eppure la sento, mi sfiora,
sta più in là.
E tutto avverrà
quando si apriranno le nuvole,
i venti soffieranno da Est,
i pensieri fluttueranno nella mente
come iperboli assolate.
La vita non è qui,
non è oggi, non è domani,
è in un magma invisibile,
in un alito di divinità.
 
NELLE BRUME MI RACCOLGO
 
Nelle brume mi raccolgo
di un mattino autunnale,
che esala ampolle
di realtà ultraplanetarie
dove languori d’anima
donano tripudio
all’arsura di un sogno
e impeti di vitalità sommersa
si allineano lungo le pendici
di osmosi catartiche.
Il tragitto roteante dei pensieri
scavalca muraglie
d’insondabili sintonie,
rabdomanti desideri
che riconducono a percorsi terrestri
fissi, funambolici,
immutevoli nella loro essenza
balugginosa e metafisica.
E intanto con la mente sfioro calici
di ebbrezze ottobrine,
che conducono alle radici
lontane, marine,
di greca memoria.
 L’attimo si scioglie,
si dipana il giorno,
lo sforzo del vivere
trascina rottami di energie
verso mete consuete
dell’ineludibile sorte.
  
ALTURE DI SFERICITA’ ASSOLUTA

Adoro la bellezza,
la geometria delle forme,
l’incanto che deriva
dai sospiri delle nuvole,
il profilo nitido
delle cose vuote,
l’ordine delle idee
fatto ebbrezza mistica.
E la vita diventa poesia,
fluttua sui declivi della fantasia,
vola alta sulle increspature
degli oceani,
sulle solitudini silenziose,
sulle storie degli esseri
amanti di meteore vaganti
lungo sentieri
del pensiero alto, errabondo,
metafisico, che odora
di ululato d’altrove.
Delle sofferenze si attutiscono
i suoni, singulti di estasi
armoniosa si distendono
lungo i rivoli rivolti dell’anima.
Arpe di musiche dell’Est
annunciano il principio,
l’essenza, l’inizio,
la categoria prima,
la duttile parola
che illumina, squarcia ombre autunnali,
prepara la mente
a raggiungere alture
di sfericità assoluta e sovrumana.
I cieli come rosari
prediligono l’innocenza,
la genuinità dei gesti solitari
e senza fama.

 COLORI DEL SUD


Colori del Sud adornano il creato,
fatto spuma di sinergie siderali,
sintomi di allegria
di prunalbi primaverili.
E delle acacie un rigoglire,
selvaggio verde,
capelvenere vezzoso
di gioie funamboliche esistenziali,
baluardi di paradisi perfetti,
prospicienti l’infinitesimale
geometria di un giunco
risorto, rilucente, rimescolato
alle categorie primigene
dell’essere. Sfumature
d’oblio cavalcano i pioppi,
le valli addormentate
sotto verdastri velami
di iridescenze scomposte.
Si attutiscono i profumi,
si fanno segreto d’innocenza.
E le cime dei monti
si ergono su un’umanità estasiata
di epifanie solitarie, improvvise,
colorate di ginestre gementi,
 che innalzano inni
all’indefinibile cielo.
E la vita si fa acquario
dove effondono flutti
di fantastiche favole
d’inebrianti teoremi
di folle singulto.
Biancospini trionfano
di luce calabra,
ondeggianti tra cespugli
di felci fiabesche
e mirti abbagliati di zagare.

 
DANZANDO CON LA SOLITUDINE

Danzando con la solitudine
luminarie di viole
sulle pareti dell’anima.
Calici prorompenti di pensieri
accarezzano la serata
in un rifiorire di profumi
di angeliche fisionomie
di epoche lontanissime,
escandescenze di liquami d’essere.
Antichi solstizi di ricordi
come rampicanti
alle pendici di dionisiaci
candelabri all’ombra di ginepri.
Echi di musiche errabonde accarezzano
attimi che scorrono
lenti, languorosi, leggeri.
Pulviscolo di stelle
regala compagnia
in una simmetria di sillabe,
ritmi, suoni che si alternano
sulla pagina di un poeta
innamorato di luminosità
siderali, bracieri d’immenso,
similitudini di metafisiche
figure che effondono
invisibili piaceri alle alchimie
del dolore.
Funamboliche parole
sussurrano apocalittica
leggiadria al vento strisciante
della solitudine.

ASCOLTANDO IL SILENZIO


Ascoltando il silenzio
avverto misteriosi
d’anima emisferi,
ineffabili dolcezze
che si levano sui declivi
dell’avvenire.
Concerti di sublimati ricordi
preannunciano vaghezze
di sintesi ancestrali,
arcani procedimenti
di subliminali resoconti
esistenziali.
Ricalchi d’epoche lontane
offrono echi di affievolita soavità,
rigurgiti di atmosfere lunari
che avvolgono
sistemi d’infinitesimale solarità
Della vita l’incanto
si puntualizza tra la materia
e l’apparire,
in un gioco di epigrammatiche
valenza delle sorti tremolanti
sulle soglie
di un’umanità sofferente,
prostrata, disunita,
in cerca di un Dio che la sollevi
sugli altari della felicità.
E rinascono le attese,
proclami d’indicibili  sommità
di pensiero,
segmenti di desideri
che spalancano le porte
su orizzonti di violini
e mirtilli di gloria.
 

LA COSTELLAZIONE DELL’ARIETE


La costellazione dell’Ariete
racchiude segreti di vita scandita
su ritmi di sinfonie
di madreperla e agata,
effusioni di trionfi
che profumano di quarzo citrino
e ciclamini.
Sogni di bracieri che si spengono
quando la voce chiara delle sorti
impone il suo timbro
su dimensioni esistenziali
alla ricerca di aliti
di primigena solarità.
Sillabe che si sviliscono,
teoremi che rimandano
a contorni di brume primordiali,
unguenti di serafiche
permanenze di desiderio
oltre i confini
di inebrianti squilli
di querule trombe.
Nello sbiadire dei ricordi,
lungimiranti arcobaleni
di pensieri sussurranti armonia
d’essere,
rincorrono il tuo viso
cosparso di ritmi autunnali,
passaggi del vivere
su intermittenti corde d’anima.
E la voglia di spiagge
salubri, solitarie, salmastre,
risale le cime della mente
in attesa che gloriose
entità di angelica bellezza
trionfino sui dossi,
dolcemente amari,
di un’esistenza errabonda
e languida.

 TRAIETTORIE ESISTENZIALI

Traiettorie esistenziali
che convergono nel punto
dove i nostri vissuti
esultano di sinuose armonie
d’essere, effervescenze
sentimentali, sostanza
di granulato d’infinito.
Sinergie di sospiri
accarezzano asfalti
di infinitesimali atmosfere
d’immenso, penombre
di luminosità che travalicano
i nessi scoscesi del vivere.
Binomi di vitalità,
trasalimenti di ignote
acquiescenze di simultaneità
dell’esistere, oleografie
di paesaggi d’anima
instillano sonorità
alle nostre menti
percorse da un brivido
di aurorale leggerezza.
Danzano i nostri pensieri
nel rigurgito del passato
che unisce, chiama,
rincorre i contorni
di emozioni esfoliate
di freschezza amorosa,
inflorescenza di virgulti
che si piegano allo zefiro.
Transiti terrestri che si incrociano
nello spirare dell’attimo
inconscio, invisibile,
quando epopee di malinconia
si stemperano nell’effluvio
di sistemi esistenziali
errabondi, nebulosi,
che si genuflettono a una divinità.
 
VELAMI D’INQUIETUDINI TERRENE
 
Velami d’inquietudini terrene
aleggiano tra le remore
del giorno, in una simbiosi
di atmosfere peregrine
e messaggi d’anima
quando un singulto d’essere accarezza
radici di cromie esistenziali
rubiconde e ritmate
di luce riflessa.
I pensieri come nebulose
primitive si piegano
al desiderio delle tue mani
favoleggianti di collina
mistica, misteriosa,
che solfeggia melodie
di vitigni in fiore
e altitudini metafisiche
d’inesplorata sobrietà.
Ciclamini di iridescenze
giovanili sbiadiscono
al suono della tua voce lontana,
che rievoca momenti
di alabastri esistenziali prospicienti
l’infinito virginale, nascosto
tra amuleti di disfatta
malinconia.
Asperità di intenti,
voluttuosi voli di vissuto
celato, errabondo, sotterraneo
divagano sui nostri afflati
evanescenti, che si estraniano
a siderali loquacità
di mimose estasiate di sole.
Si inarcano le nostre parole
tra procellose similitudini
di respiri sentimentali
di vaporosità
solitamente solitaria.
 

MI NUTRO AL SOLE

Mi nutro al sole
delle tue assonanze e parole
nell’attimo che precede
il sorgere del giorno,
in una penombra che preannuncia
reminiscenze di similitudini celesti,
stupite ascendenze di pensieri,
elettriche processioni
dell’invisibile e perfetto.
Chiaroveggenze di simulacri
appassionati e prospicienti
l’infinito dimorano
nelle fessure dell’anima
in una sintesi di equilibri
cosmici e siderali
che rasentano
la voce degli dei.
Si placano le sinfonie
di malinconici sguardi
e utopici tormenti
quando eclissi lunari
echeggiano palpiti di lampare
che si abbandonano
a stanche effusioni marine.
Sviliscono le nostre solitudini
terrestri terrestri,
errabonde, odorose
di unguenti esistenziali.
Fragori di gioie
iridescenti e imprecise
indovinano i nostri passi,
che si stagliano lungo rettilinei
di operose affinità
ed escrescenze sentimentali
quando la mia ombra
sfiora le tue mani
che sanno di collina
arsa dal sole.
 
LA SAVANA DELL’ANIMA
 
CRISTALLI DI MALINCONIA NEL GRETO DELL’ANIMA
 
Cristalli di malinconia nel greto
dell’anima
quando bonsai di pensieri ricoprono
il passato che agita le vele
tra trasparenze divine,
simbiosi metafisiche,
iridescenze di terrene verità.
Il ricordo di te si fa ululato
d’argento che si insinua
tra le pieghe del mio giorno
e scandisce l’attimo
scolpendo il reale sul divino.
Equinozi primaverili
si stagliano tra luce e sera,
in un gioco di epifanie
ineffabili e ammirabili,
straordinari eventi
di mistica fragranza
e melodiosa esuberanza
di ossimori esistenziali.
Elegiache certezze di te
accarezzano sentieri
di rosmarini e oleandri,
possibili itinerari di vita
trascorsa tra segmenti
di felici sussulti,
rimembranze, capovolgimento
delle sorti, geografie di paesaggi,
momenti di mitica favola del vivere.
La parola si fa canto muto,
audace fantasticheria,
nell’attesa del domani.

IL BARICENTRO DELL’ANIMA (a Giuliana)
Il baricentro dell’anima esulta
quando favole d’infinito
gridano il tuo nome
che racchiude primule
di fantasie ricoperte
d’innocenza e originaria
beatitudine del vivere.
S’inebriano i giorni, l’attimo percorre
segmenti di esistenza
scandita su binari
di mesta felicità
e languori d’infinitesimali
emozioni. S’acquietano
momentanee acquiescenze
di pensiero, dorme la parola
che vigila lontananze diffuse
tra crateri della vita,
si anima di sospensioni
geometriche il silenzio,
che irrompe sulle cose indefinite
e solitamente sole.
Si accumulano sospiri
di rimembranze consolatorie,
sopraggiunti frammenti
di percorsi esistenziali
che evaporano liquami
di simultanee bellezze
e processioni di mistica
sonorità.
L’elegia del momento
scompare, si frantuma,
si dissolve nella magia
di equinozi primaverili
di una sera di maggio.

NELLO SCRIGNO DELL’ANIMA
Nello scrigno dell’anima echeggiano
voci di antica memoria
che strisciano su paralleli
emisferici e giocano ad inventare
simbiosi di pensieri,
risvegli esistenziali,
convulse acrobazie
di penombre impazzite
del tuo volto.
Cenere di desiderio apostrofa
il passaggio terreno,
lo sfiora, poi lo possiede
in un connubio
di rimpianto-sospiro
sotto coltri d’inaspettata agonia
sentimentale.
L’attimo si frantuma,
rincorre il passato
lungo rette di enigmatica
salvezza e ascensioni
piramidali e repentine.
Svirgola il tuo profilo,
si fa acqua marina
che rinfresca le piaghe
di pentagrammi esistenziali
sussurrati di alchimie
divine e unguenti d’altrove.
Terreno il mio giorno che s’inorgoglisce
di lontananze mute,
melodiche, mitiche,
alla ricerca di ritmi
lussureggianti d’ambrosia.
 

NELLA SAVANA DELL’ANIMA


Nella savana dell’anima
pulviscolo di nostalgie
che si stemperano tra gli amuleti
della tua incoscienza
oleosa, salmastra,
che riluccica di ubbie
nel percorso scosceso del vivere.
Simmetrie di pensieri aulenti,
rubicondi, inventano
rapsodie di avventure lontane
che sciamano lungo sentieri
di fantasie stantie,
evanescenti, minuscoli segni
di vitalità terrena.
Il silenzio adombra
percussioni di ritmi
sentimentali palpitanti
lungo raggiere
di soavità sommersa.
Inauditi pellegrinaggi
della mente si spostano
lungo semicerchi
di un altrove sperduto
su alture che portano piussù.
Singulti di energie adolescenziali
si stagliano tra le pieghe
del giorno che si dilegua
lungo i rivoli dell’esistere
quando un brivido
di divino percorre
le membra addolcite
dal passo della sera.
 
L’ASSOLUTO
      
LA RAGIONE SEGRETA
 
Sei, o Signore, la ragione segreta
che discende sui crinali
della mia sofferenza,
l’istinto vitale che soffia
sui davanzali di un passato
che adombra il presente,
lo scalfisce e lo ricorda
nell’ululato del vento vinto.
Mi stringo alla tua corona,
disperdo tra le spine
i flutti inquieti
del transito terrestre
e le agonie della solitudine,
che stampa sull’anima
ideogrammi di dinamiche
esistenziali che traboccano
in gelidi notturni.
La tua essenza luminosa effonde
lungo i passi lentamente veloci
sfolgorii di avvisaglie
di altri mondi e tintinnii
di creature angeliche
che vagano tra le crepe
dell’essere incerto, inutile, incompreso,
appassito di noia.
Sia la tua ombra
invisibile ristoro
alle parvenze terrene,
al mio vagare alla ricerca
di risposte escatologiche,
prunalbi di escandescenze divine.
 
VOLGI LO SGUARDO

 Signore,
volgi lo sguardo
su stigmate di un cammino
che si protrae lungo strade
sconosciute ad atmosfere
festose  di eucalipto,
 papaveri che nel meriggio
si inchinano verso oriente,
meteore che nelle notti d’agosto
raggiungono teoremi
di terrene melodie.
Il tuo spirito scenda
sulle stanze buie del vissuto
e le rischiari di candida
polvere lunare,
canicola paradisiaca.
Sia il sangue della corona
unguento ai vasi ricolmi
di lieto dolore,
spigoli di un vivere selvaggio.
L’anima accolga perle d’assoluto,
silenzi di meste giocosità,
estasi ultraterrene.
Sia il mio canto
lode che purifica
gli anfratti segreti
di terreni tormenti.
 
IN UN LAMPO PERDO IL CONTATTO

Mio  Essere Primo, certe volte
 mi par di sfiorarti
ma in un lampo perdo il contatto,
della tua voce il sibilo non sento
correre tra i gerani dell’anima,
il profumo dei tuoi passi
allontanarsi dalle rocce
di un vivere  rumorosamente
solitario.
E il vortice del nulla
mi cosparge si essenza silenziosa,
mi invita al viaggio
verso terre sconosciute,
sconvolgenti, scomposte.
Mi sento sprofondare
 in terreni  fermamente melmosi
dove la primavera
non sparge unguenti,
ritmi d’anima,
dinamiche vitali.
Il mio io si allontana
dalle acque sulfuree della vita,
giardini che odorano
di sapido pane,
ciliegi che si cullano
ai venti della gioia.
Lo smarrimento impietrisce i pensieri,
vuoti alabastri,
sottili fili
di desertiche filigrane.
Ma ad un tratto Ti ritrovo
e la mia inquietudine trova pace
nella Tua sostanza muta.
 PREGHIERA

Signore, riempimi di Te,
dell’avvenenza del tuo spirito
e proclami di misericordia.
Sia il mio attimo
soffio d’infinito,
uno schiudersi di lampi
di verità nascoste
al transito terrestre.
Dal costato raggiante
di essenza mistica
discenda sulla mia umanità,
finita e forte,
sfavillio di fragranze
d’amore santo e celeste.
Sia l’anima tempio
terreno al susseguirsi
di metafisici miraggi
e miracoli d’altrove.
La fiamma muta del mio procedere
vago e vagabondo
s’inebri di parola
che scorre in fiumi lontani,
irraggiungibili.
Si enuclei dalla tua corona
fermento di sfere paradisiache,
sovrumani attitudini del vivere.
Silente la mia sera
quando nubi che preannunciano
la pioggia preparano
l’anima stanca a ricevere unguento
dall’invisibile presenza.
 
QUANDO
Quando non ascolterò più questa musica,
quando il domani
non sarà un turbamento,
quando il treno
non mi porterà verso Ovest,
quando non busserò alla tua porta,
quando non rimpiangerò
i miei passi,
quando non mi lamenterò
del sole, della pioggia, del vento,
quando il profumo delle chiare stelle
non mi sarà estraneo,
quando non riderò più
né piangerò,
fluttuerò nell’infinito
e della sua luce mi sazierò.

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