domenica 13 aprile 2014

ELEGIA


Fu l’ultima Pasqua,
l’ultima volta
che le campane della Resurrezione
penetrarono il tuo cuore
stanco, indifeso, proteso
verso la luce dell’immensità.
Viveva la città,
brulicava, smaniava
di ritmi assurdi, veloci,
rincorreva il vento di maestrale
tra gli oleandri in fiore,
ghirlande di pensieri
che s’inerpicavano su minareti
smaniosi di sole.
Il tuo passo era lento,
si trascinava tra i segmenti
del giorno aspettando che un’alba chiara
regalasse primule loquaci,
desiderose di sinergia vitale,
coreografie di antiche danze
gitane.
E invece l’alba interruppe
il sogno, le vezzose carezze,
i proclami inattesi,
le reminiscenze di ambra e gelsomino.
Ansimanti presentimenti
di vita nuova, eterea,
energia pura danzante nell’azzurro,
inflorescenze d’essere,
virgulto d’infinito,
si stagliarono tra cielo e orizzonte,
novello ponte
verso pellegrinaggi d’anima,
illuminati da sistri d’aprile.
E il pianto come sospiro lieve,
aritmico, asfittico,
dolcezza di subitanei
trasalimenti,
armonia di alito primaverile.
La tua essenza si fece preghiera,
canto che sibila
tra flutti fluenti e fantastici
dell’ignoto e del metafisico.