Prefazioni

Prefazione 
a "Sonagliere di corallo"
 

Questa raccolta di liriche di Elena Bartone è connotata da un'aura mistico-contemplativa che è propria della soggettività del poeta, del suo senso dell'ordine e del gusto costruttivo e creativo.
Convince per un'innata e solare affabulazione, per l'interiore spasimo innovativo vigile nello sforzo di evitare mode incongrue, capaci di destrutturate il testo, di ridurlo a fatto puramente visivo di impaginazione e disegno di parole o sillabe.
Questa poesia di Elena in altri termini appare la presa di coscienza che l'arte sia tutto fuorché capriccio inventivo, arbitrario , imperfezione etico-formale, assenza di normative, sperpero di buon gusto, rifiuto ingenuo, perverso, radicale di appartenenza a una tradizione culturale che semmai è guida promotrice della volontà di ricerca.
Elena intanto non ha fregola di apparire ad ogni costo moderna e originale.
Le basta essere se stessa, aliena da ogni pretesa di imporsi una identità fragile, inconsistente, destinata a svanire assieme ai suoi effetti di design visivo squilibrato, con risultati fonetici anomali e urtanti.
Elena Bartone candidamente e semplicemente si presenta e si spende per quello che è, anche se possiede cultura ed esperienze interiori e di studio, estro e attitudine creativa, capacità di modulare lo strumento lingua sui ritmi inventivi della fantasia, dei fermenti psico-cardinali, capaci di dare corpo a realtà spirituali e fluido mentale che consente le vita, il movimento dei sensi, la percezione del mondo esterno, distinto dallo spirito vitale, impulso di sentimenti, ardore, attitudine a sognare, a godere e fruire di ogni moto dell'anima, a interpretare e vagheggiare le forme e i significati della cose.
I simboli del suo linguaggio, le parole-chiave pregnanti, categoriali ("la parola è l'anima del mondo/ nascosta tra pietre e cose mute/ in un mistico colloquio col silenzio") hanno una timbratura lucreziana, ma anche la tenuità e trasparenza di una impercettibile ascesi cosmica, "quando il destino bussa/ alla porta dell'anima/ adagiandosi su petale di nuvole" (L'ora consueta) e hai la sensazione che la vita sia "gioco a mosca cieca/ e quando ti levano la benda/ è già finita"(Vita).
E nonostante i ricordi sbiaditi dal tempo sotto cumuli di foglie, la gioia è la nota del suo esistere per gli altri. Ha "un nido di api nel cuore" che mielificano "quando si innalza la parola/ e vola sulle nuvole e gli anfratti", insidiata dall'enigma, consolata dai mandorli in fiore, dai tepori della primavera e dalla sera, che induce a rigermogliare i tronchi del passato," i pensieri fatti muschio" e "noi granellini di sabbia quando un Dio ci guarda e il miracolo del vivere è vicino".
Il percorso poetico di Elena Bartone si compone e scompone in ipotesi e prospettive, in sintesi di dimensioni cosmiche, di spiritualità ed esercizio contemplativo.
Così si spiega anche il suo pudore d'anima, il suo congeniale rifugiarsi nella solitudine, l'amore per la sua terra, che si prospetta come qualcosa di più della nostalgia di chi è costretto per ragioni contingenti, a viverne lontano.
Elena trasfigura dati e momenti oggettivi apparentemente atoni, in riferimenti di pietas, in tessitura di sogni, in slogatura d'anima. Non aderisce mai, per puro gioco mimetico, alla realtà, ma la fonde nella metamorfosi lirica del suo dettato, la vive in un'atmosfera metafisica di astrazione vagamente surreale.
Una discorsività interiormente drammatica ricupera il fascino doloroso e gioioso delle cose, sulle quali, forse per eccesso di pudore o di riserbo, era passato il destino del non detto, caduto dal valalla di una memoria, affievolita e stanca, illanguidita, erosa, lisa, diminuita ma non spenta. Da lì emergono parole trasparenti e significative, incorporate in un contesto epidermico- sensitivo- liricante-coscienziale che ha forza incisiva, la leggerezza e l'irrealtà del sogno traveste e annega l'oggetto di una laguna "poietica", riscopre e riscrive la cifra personale, inconfondibile e la suggestione di affettuosa complicità, di intimismo autobiografico, che non si traduce in un ripiegamento ossessivo delle proprie sollecitazioni interiori. Elena è attenta e vigile ai climi delle stagioni del cuore, delle ricordanze e del flusso appena prevedibile, inudibile, inattendibile del divenire, dei silenzi, dei vuoti capaci di produrre squilibrio nel soggetto, che in qualche modo si sporge, si mette a rischio.
Tutto è espresso in tono dimesso, inavvertito, sottovoce quasi per una legge non scritta, maturata in una dimensione di solitudine, di parvenze che stentano a porsi come oggetti definiti, vestiti di identità, di timbricità fonica, di connotazioni certe, di verità sfuggenti agli aculei dei sensi e alla memoria e recuperate come inganni e illusioni, dall'estro creativo.
È trascritto come in trance il senso abdito delle percezioni separate dalla insignificanza, dal troppo e dal vano, dalla atonia, dal grigiore del silenzio, dagli abbagli e dagli scarti, dalla caducità delle forme e delle parole.
Elena Bartone con la sua voce e i suoi desideri attraversa il muro d'ombra e di silenzio e approda a rive di stagioni, a bordi di complicità, di segni che le consentono di percepire traumi di lontananza, di esilio dalla sua visione ideale del mondo e della vita.
La sua poesia è diario in cui sono trascritte consuetudini di paesi d'anima, scenari familiari, le delusioni delle sue scoperte e delle sue ferite, le sue stimmate, la verità del presente e dell'altrove, le avventure del cuore e del pensiero, le trasmutazioni fenomeniche e le loro noumenità, i rimedi inefficaci, gli spiragli che ravvivano le cose periture, che pure finiscono con l'essere interpretate come momenti di salvezza, o postumi di ferite ossidate da croste.
La poesia di Elena Bartone è canto- rassegna del non dicibile, del non udibile.
È l'eco di voci segrete interiormente pensate, meditate, ritmate, donde estrarre il sensus inditus balenante di schiume e di stupori, rivissuti, rivisitati, portatori di una inafferrabile consistenza magica, il mistero dell'essere.

Prof. Sirio Guerrieri

PREFAZIONE A "Palme di velluto"

PREFAZIONE


La quarta silloge poetica di Elena Bartone si intitola Palme di velluto. Ho letto varie volte quest’opera e debbo dire subito che si tratta di una poesia sentita, originale, e nel contempo si nota come la poetessa ha una lunga e fruttuosa dimestichezza con testi poetici italiani e stranieri. Comunque ciò che mi colpisce di questa poesia è soprattutto il linguaggio, il modo di esprimere sentimenti, sensazioni, modi di essere; si tratta di un linguaggio ricco di immagini varie che conferiscono alla poesia un ritmo narrativo per cui passano davanti ai nostri occhi diverse atmosfere, ci appaiono varie situazioni interiori ed esistenziali. Do una serie di citazioni per mostrare lo spessore  e la fisionomia di questo linguaggio che è ricco di sfumature e nel contempo dice tutte quante le condizioni di certi momenti dell’esistenza. Un linguaggio anch’esso narrativo ma intenso e poetico: “I tuoi occhi sembrano stemperarsi/ tra le spire del domani/ e tra unguenti d’infusi/ di realtà ultraterrene e avvisaglie/ di ebbrezze paradisiache/ che vibrano all’orizzonte”(Evanescenze mattutine); “La tristezza esalava languori che si susseguivano/ tra le viti impazzite/ di tormenti settembrini./ Era il mio cuore un candelabro/ acceso dalla nostalgia/ dei tuoi sguardi / che rincorrevano la collina” (Vigna triste), per finire con le citazioni: “Mi riconosco creatura/ di una favola antica / dove il vento lieve di maggio porta/ velami di vecchie certezze/ e aromi di muschio nella sera”.
Atmosfere vive e palpitanti, una dimensione religiosa, uno stile perfetto e unitario caratterizzano questa opera poetica della Bartone, la cui poesia è formata da vari blocchi che si sovrappongono tra di loro e danno vita a un differente tono poetico: ora descrittivo(“La collina dona sensazioni/ di colori che si stemperano/ e luminosità che degradano”(Forme di estasi), ora fatto di piena consapevolezza:” Il linguaggio dei profumi incanta il mio giorno/ e solleva i pensieri verso il punto/ dove la nuvole custodiscono/ frammenti d’anima” (Il linguaggio dei profumi); “Mi racconto fiabe / che illuminano l’attimo e distendono/ effervescenza di stupore:/ Si apre il sipario del futuro/ schiumante di certezze/ di energie di parole e di vento, / e alchimia d’azzurro./
Mi immergo nel vallo della vita e mi addormento/ sotto palmizi di favole e di luna.” (Cespugli di cielo):
In questo modo la Bartone canta la sua vita, il suo essere nel mondo che ama anche il divino, il sacro, le “paradisiache ascendenze “cattedrali smerigliate d’oblio/ aspettano che il transito terreno/ arresti la corsa, che l’incedere/ delle umane meraviglie indirizzi la prua verso il Divino/ dove nulla più accade:/ ma solo angeliche figure / infuocate di cielo/ innalzano paradigmi di Alleluia al Padre: / Ritmi orchestrali/ di paradisiache ascendenze / preannunciano la fine / dell’attimo del divenire,/ della porta stretta, / del sogno che verrà. / Lì tutto è bellezza, perfezione, / geometria celeste, / Mattino incantato di viole”: (Il bandolo)
Palme di velluto presenta la prima sezione dal titolo Aritmie di nostalgie, e poi E-mail (mandate a Pavese, Baudelaire, Leopardi, Montale, Verlaine, che poi sono i poeti tanto amati dalla Bartone), e poi le sezioni  Dialoghi e mistero con poesie quali Viaggio con Francesco d’Assisi, Il sangue della corona, Il mio io è la mia croce, ad esempio. Proprio in questa sezione, come si legge in una poesia Treni verso l’Assoluto, “Sinfonia si fa il creato,/ carezza che accompagna/ similitudini di enfatici ritorni/ alchimia di esultanze/ di archetipi ritrovi/ di spirito e materia/ L’Essere si fa parola/ e canta simbiosi/ di eclissi lunari e divine aurore”. L’anima del mondo – come si legge in Contemplazione “si coglie tra i ciliegi fioriti” ma pure “Il concatenarsi di eventi armoniosi,/ la parola che accoglie fragranze d’infinito./ E si compie il miracolo./ Il paradiso è qui”. Poi in Divinità sospese c’è l’incontro con Dio: “All’improvviso ti ho incontrato./ Hai squarciato le tenebre / della mia anima e mi doni/ ansia d’immenso, sinfonie / di infinito respiro”. Così termina questa silloge ben riuscita per temi e linguaggio. C’è in questa poesia l’umano ( i ricordi dell’infanzia, ad esempio) e il divino, il sacro, e su questi due versanti- mi pare- dispiegarsi tutta quanta la poesia della Bartone la cui ricerca linguistica ed espressiva- sono ben sicuro- ci darà in appresso altre ben riuscite sillogi poetiche al pari di questa che sto analizzando. Più leggo e rileggo la poesia, questa poesia della Bartone e più mi rendo conto che la sua originalità consiste soprattutto nello stile, nel linguaggio con cui vengono presentati precisi momenti e situazioni esistenziali, e al riguardo mi limito a ricordare alcuni testi quali Salici, Il forziere dei ricordi, Tormento d’infinito, Atmosfere, e infine ricordo La retta del pensiero con gli azzeccati versi finali: “ Quando il pensiero si placa/ il silenzio della mente accarezza i contorni del viso / e delle membra mute”.
Dicevo prima che nella poesia della Bartone c’è anche la natura che- come si legge in Pentagramma universale- “E’ un simposio dove   anelli concentrici / danno vita ad un pentagramma universale” e prima sono richiamati “ simulacri di antichi vulcani ricordano / escandescenze e fuoco / di ere geologiche, / di primavere estrose  / di vento e di acacie”. Con questa silloge poetica la poetessa mostra di aver imbroccato la via poetica  giusta che si basa- come ho già avuto occasione di dire- su una ricerca linguistica assai personale anche se talvolta si sentono echi e si vedono immagini di altri poeti studiati e  magari postillati dalla Bartone.
Comunque la sua poesia è originale e rende bene la realtà esterna e quella interiore che poi sono fuse tra di loro. Ecco un testo come Sere d’inverno: “Nelle sere d’inverno/ quando il camino illumina/ le fatiche del giorno / e la fiamma scalpita nel silenzio, / la solitudine cambia / ritmo di danza e si incunea/ tra i solstizi dell’anima”. E cito ancora questi ben dosati e graduati versi: “ Sbiadiscono i volti, / si spengono le voci / tacciono i sentieri  / che aspettano la notte./ Un sorso di vino dona ristoro alla mente che naviga nel nulla/ delle passate cose / e nella nostalgia del tuo volto.”
Ma che cos’è la poesia per la Bartone? Ed ecco che mi soccorre un altro suo testo (Brividi autunnali) in cui alla fine leggo: “ In questa notte amidata / di te , la poesia è unguento/ alle mie piaghe sconosciute “. La poesia nasce da vere situazioni interiori , da autentiche e provate emozioni, espresse sempre con un linguaggio altamente poetico. Una poesia varia nel linguaggio e negli esiti del ritmo e del tono, che crea e presenta varie situazioni che dicono l’atteggiamento della poetessa verso il mondo, la vita, il divino. Poesia quindi che narra la vita interiore, predica l’essere: “Mi perdo nella luce / che anela a forme divine / ed a  imprescrutabili destini./ Mi racconto fiabe / che illuminano l’attimo e distendono / effervescenza di stupore./ Si apre il sipario del futuro , schiumante di certezze,/ di energia di parole e di vento/ e alchimia d’azzurro/…(Cespugli di cielo). Questa poesia della Bartone ha una fisionomia che appartiene unicamente a lei e più si va avanti nella lettura e di più s’accresce, o meglio, si immagina la potenza creativa e poetica di questa poetessa:”Si allineano sulla corolla della vita / le sembianze sfuggite / all’aritmia di un sogno / e i momenti che trascendono / vivacità d’incontri / e fermenti di beatitudine.” (Tormento d’infinito). “I  sussulti di gioia addormentati / nei nidi dei cuculi/ aspettano che venti di zefiro rischiarino/ le immensità del mio domani / e rinvigoriscano gli arbusti ed i germogli / nei giardini dell’anima”. (La mort de l’ame) e infine ecco: “ Atmosfere vaganti di sogni/ celebrano le nostre anime / che inseguono spiragli di luce / e tintinnii di sonagliere”. (Loquacità di attimi)
C’è nella poetessa voglia di conoscersi, di sentire com’è fatta dentro e perciò si affida ad una poesia che non ama la notte ma la luce, l’Essere Supremo, quell’Essere che appunto squarcia le tenebre dell’anima e dona- per citare ancora versi- “Ansia d’immenso, sinfonie/ d’infinito respiro”. (Divinità sospese, cit.).
A guardar bene i versi di Elena Bartone sono ansia d’immenso appunto, cantano pure l’Assoluto, l’esistenza, la solitudine, la sofferenza. C’é in sostanza in questa poesia- lo ribadisco- il terreno e il divino, la vita, l’io che si esprime, o meglio alimenta una poesia originale che dice “l’umana ventura”. Poesia dell’umana ventura è appunto questa ben riuscita poesia di Elena Bartone , di cui attendo altre sillogi poetiche in cui la parola poetica, veramente poetica, come in Palme di velluto rende ogni sfumatura del nostro io, del nostro essere.

  
                    Prof. Carmine Chiodo, Università di Roma Tor Vergata

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